by Luigi Amato Kunst

La prospettiva filosofica del cambiare vita dovrebbe muovere dal presupposto che la vita nel mondo occidentale sembra essere strutturata attorno ad un andamento lineare.

Lineare sta per lontano da fluttuazioni, fuori dall’imprevedibile. In questo processo verso una stabilità ripetitiva e prevedibile, gli uomini hanno perduto delle capacità di sopravvivenza e adattamento, nonché un certo legame con l’oscillazione naturale e la ciclicità. Una risposta filosofica all’idea di andamento lineare dovrebbe riguardare mezzi e capacità per affrontare la vita come “un viaggio su un mare incerto” come diceva Nicolas de Staël.

Lineare indica il conflitto tra un mondo della Natura, indifferente ai nostri desideri, un mondo fatto di resistenze, ed il mondo della Tecnica, che pretende di essere talmente responsivo verso nostri desideri da diventare una mera estensione del se.

Per cui, un reale cambiamento di vita avviene solo se il mondo della tecnica (inteso come approcciare alla vita affidandosi alla responsività) viene abbandonato.

Il Mito dell’andamento lineare rettilineo, costante e prevedibile, si radica, nel mondo occidentale, all’interno di un’ambivalente nozione di immortalità. Immortalità è perdurare nel tempo, vita senza morte sulla terra così com’era della natura degli dei dell’Olimpo. La mortalità divenne il segno dell’esistenza umana. Pseudo Aristotele dice nell’Economico (1343 b24), che la natura garantisce alle specie il loro essere perenne attraverso la ricorrenza (periodos) ma non può garantire tale perennità all’individuo. La mortalità allora è questo, muovere lungo una linea retta in un universo dove ogni cosa dotata di movimento si muove in un ordine ciclico (cfr. A. Harendt, Vita Activa, p. 15).

Il paradosso giace nel fatto che con l’avvento del lavoro come ricchezza delle nazioni (1776) e non più come lavoro dell’individuo, questo muoversi lungo una linea retta non rappresenta più l’esistenza dell’individuo ma, semmai, la vita artificiale.

La vita artificiale rappresenta il distacco tra pensiero e lavoro. L’ Organizzazione Scientifica del Lavoro di Taylor (1910) approssima a zero il margine di decisionalità e di creatività. Nonostante teorie successive abbiano sottolineato l’importanza del lavoro individuale (Friedman, Walther, Gillespie, Maslow, McGregor, Herzberg, Likert), la nozione di lavoro è rimasta di fatto disconnessa in modo permanente dalla nozione di agire umano.

L’agire umano, nel senso più alto, è la sola attività che procede tra gli uomini senza l’intermediazione di beni materiali   in quanto l’agire corrisponde alla più alta condizione di pluralità. 

Con l’avvento dell’industria all’uomo venne chiesto di comportarsi secondo un estenuante modello ripetitivo, dunque non umano. L’agire umano divenne un movimento riproducibile privo di senso, e queste infinite ripetizioni dello stesso modello, necessitano di una società prevedibile.

La società prevedibile prese il posto dell’agire umano come agire tra gli uomini senza l’intermediazione delle cose. Ma agire è la capacità di creare qualcosa di nuovo. L’azione nel più alto senso politico di essere tra gli uomini (inter homines esse) divenne allora un capriccio, un’interferenza con le leggi generali del comportamento ripetitivo e prevedibile, meccanico.  

Il suono ritmico e cadenzato della macchina divenne il cuore della vita dell’uomo. Il battito cardiaco artificiale. Questo artificio tenta così di separare il mondo dell’esistenza umana dal mero ambiente animale, “ma la vita in sé è fuori dal mondo artificiale” (Arendt,1958, p. 2).  Infatti l’uomo resta connesso con gli altri uomini e organismi viventi attraverso la vita e questo andamento lineare è divenuto il segno distintivo dell’artificiale in quanto straniamento e alienazione, piuttosto che dell’esistere nel senso di opporsi alla natura ciclica.

È ormai piuttosto evidente che nel mondo globale, il cambio del paradigma lavoro, le ondate migratorie con i problemi di integrazione connessi, l’economia volatile, bitcoins, il cyber work, la deterritorializzazione, non è pensabile vivere come abbiamo fatto fino ad ora. Cambiare vita mantiene il senso di liberarsi dall’andamento costante della vita lineare.

L’esistenza non è più la vita dell’individuo che si eleva sulla vita biologica e per questo che si muove secondo un andamento lineare. È semmai un progetto lineare, un percorso intenzionale, che si distacca dalla vita biologica ma tiene a mente la nozione di natura come ciclica.

Un fabbro del medioevo forgiava spade nei periodi di guerra, ferrava i cavalli e costruiva attrezzi per l’agricoltura nei periodi di pace. Quando il suo lavoro non era sufficiente a sfamare la famiglia, si spostava, magari per trovare lavoro come muratore o carpentiere. Era normale cambiare lavoro ed era normale spostarsi in un altro luogo.

La “terapia” filosofica non si fonda sulla ricerca di traumi psichici. È piuttosto fondata sul tracciare delle rotte secondo percorsi coerenti, sia per acquisire capacità di navigazione, sia per scoprire nuove terre. Per rispondere a questi problemi Platone, nel Fedone, parla della seconda navigazione, come quella che i marinai intraprendono dopo aver lasciato i venti per affidarsi ai remi, ossia alla ragione.

La svista, la dimenticanza, la disattenzione, non sono errori morali ma episodi inautentici, qualcosa non realmente esperito coscientemente. Una vita inautentica è una vita dove la coscienza della sua vocazione è assente.

BIBLIOGRAPHY

Arendt H, 1958, The Human Condition, University of Chicago Press, (1958).

Franzen, J. Farther Away: Essays (p. 6). Farrar, Straus, and Giroux. Kindle Edition.

Friedman M. Capitalism and Freedom 1962, University of Chicago Press.

Herzberg F. 1971, Work and the Nature of Man, 1971, London.

Likert R. 1961, The Patterns of Management, New York.

Maslow, H.A, Motivation and Personality, New York 1954.

McGregor D, 1960, The Human Side of Enterprise, New York-Toronto London.

Smith A, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations (1776)

Taylor F.W, The Principles of Scientific Management (1910)